venerdì 31 maggio 2019

Memoria in Platone e Aristotele

I primi filosofi a parlare di memoria

Stanza della segnatura - particolare della Scuola di Atene

La memoria e le immagini



“Vuoi sapere quando tutto è cominciato, da dove ha origine il nostro lavoro, come è stato concepito…[…]. Il nostro manuale dice che è stato ancora prima della Guerra Civile, ma il fatto è che fino a quando la fotografia non è diventata un bene comune, non possiamo dirlo con certezza. Poi sono venuti i film, all’inizio del ventesimo secolo. E la radio, la televisione. Le cose hanno acquistato una massa.”(R. Bradbury, Fahrenheit 451 – parte prima pag 54). 

sabato 25 maggio 2019

Memoria nella letteratura cinese

La Cina: tra dittatura e ricordo
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Manifesto propaganda Pcc

Memoria nella filosofia moderna

L’empirista Locke, nel secondo libro del "Saggio", nega addirittura l’esistenza di un deposito delle idee nell’anima, sostenendo che l’azione del ricordo è soltanto accompagnata dalla coscienza: cioè un’idea si ripresenta perché è legata alla consapevolezza di essere stata già vissuta, non esiste la memoria.


Tuttavia, fra tutti coloro che trattarono il concetto di memoria, ricordiamo soprattutto Bergson nel suo “Materia e Memoria”. Egli  considera, nel suo scritto, l’uomo formato da due dimensioni: corpo e coscienza. Il primo termine corrisponde alla percezione delle cose, il secondo alla memoria. Quest’ultima, però, è materia complessa e pertanto vi riconosciamo i ricordi-immagine, che sono legati al mondo esterno e fungono da tramite tra esso e l'individuo, e i ricordi puri che restano a lungo inconsapevoli e non condizionati da disturbi cerebrali, potendo così incidere sui primi.
La memoria non si caratterizza come flusso che dal presente giunge al passato, ma come attualizzazione del passato che modifica l’esperienza presente: il passato è concepito come un gomitolo, che rotolando riavvolge e dispiega il filo che lo compone, così come gli eventi presenti sembrano coincidere con quelli passati.
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Schematizzazione del pensiero di Bergson
circa la memoria


Nel pensiero più recente, infine, è degno di nota Bartlett, il quale dimostrò che quando un soggetto memorizza un racconto, in realtà memorizza una rappresentazione astratta del racconto stesso, cioè uno schema che resta invariabile nel tempo.



La necessità di un "deposito" di ricordi e di idee


La difficoltà di organizare i ricordi è stato da sempre uno dei motivi per cui si è cercato di creare uno spazio in cui fosse possibile custodire una quantità innumerevole di dati: l’archivio. Esso deriva dal greco arkeîon, denominazione del palazzo del magistrato, dove era naturale che ,accanto a colui che deteneva il potere, fossero conservati i suoi documenti.

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Archivio bancario di Napoli (il più antico del mondo)

Un esempio di archivio nel libro di Ray Bradbury è quello in cui sono riportati i titoli delle opere bruciate e di quelle non ancora sequestrate: in questo modo, il regime in cui vive Montag avrebbe potuto agire in modo mirato ritrovando gli scritti ancora in circolazione.
Tuttavia, l’archivio ha subito un’evoluzione nel corso del XIX secolo, passando dalla sfera analogica a quella digitale. Ciò ha provocato in alcuni casi, eventi di dispersione e incompatibilità tra i documenti e ha senza dubbio inibito la nostra facoltà di ricordare poiché sempre più ci affidiamo ad apparecchi multimediali.

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Memoria digitale
Ma la memoria digitale ha un limite? La risposta è ovviamente si. Infatti, Sin dagli anni ’60 sono sorti i primi segnali di preoccupazione riguardo l’obsolescenza dei sistemi informatici e la possibilità di smarrire gli stessi ricordi.
In conclusione, la memoria rappresenta le fondamenta della società, ricorda agli uomini le loro origini, gli errori commessi e le
conquiste ottenute. Ed è proprio per questa ragione che dovremmo custodirla con molta più cura, come se fosse il quadro di maggior valore all’interno di una galleria d’arte, e non far si, invece, che tutto venga relegato ad uno spazio esauribile che ne cancellerebbe ogni traccia.

Studio sulla connessione tra memoria e fotografia

Uno studio condotto dalla Fairfield University (Stati Uniti) ha evidenziato una correlazione tra numero di scatti e dettagli rimasti impressi nella memoria: diversi gruppi di universitari sono stati invitati in visita al museo locale "Belalrmine Museum of Art" e ad ogni partecipante è stata data una macchina fotografica digitale accompagnata da un invito, senza obbligo, a fotografare alcuni dei pezzi esposti al museo. 


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Persone intente a fotografare "La ragazza con l'orecchino di perla" di Vermeer



Il giorno dopo l'esperienza è stato sottoposto loro un questionario e ciò che è emerso è appunto che più fotografie uno studente aveva scattato, meno nitido era il ricordo che questi aveva dell’oggetto in questione. Il motivo? Una delle ipotesi più accreditate è che, nonostante il tempo impiegato per cercare l’angolatura perfetta, il contrasto luci-ombre, l’atto del fotografare sembra creare un processo in base al quale le persone si sentono giustificate a dimenticare ciò che hanno visto, i ricordi, ovvero, sono affidati ad un medium, la macchina fotografica. Nell’era digitale, dunque, in cui miliardi di persone sono dedite a scattare delle foto per immortalare un ricordo da pubblicare sui social network, come instagram e facebook, ciò potrebbe provocare delle ripercussioni importanti sulla memoria non solo individuale, ma collettiva. (Fonte: Il fatto quotidiano, A. Mucci).

La memoria e la coscienzia


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Linea di confine tra moralità e immoralità
Basta anche una semplice domanda, “Sei felice?”, pronunciata nel libro più volte da Clarisse, per porre in dubbio qualsiasi cosa, per rivalutare un’esistenza fatta di consuetudini e cercare di sedare la coscienza anche con un solo capitolo delle tragedie shakespeariane per cercarvi i significati più reconditi. È la coscienza il motore delle nostre azioni, che aggrappandosi a ricordi, frammenti di una storia passata e non più nitida, cerca di ricomporre un puzzle con elementi mancanti. La coscienza  (dal latino “coscientia”, derivato di “conscire”, “essere consapevoli”) induce a prendere determinate scelte piuttosto che altre, ma a quel punto quale riferimento considerare per decidere cosa sia giusto e cosa sia sbagliato? La ratio oppure l’etica? Cosa suggerisce, ad esempio, la coscienza alla classe dirigente quando avviene un disastro come il crollo del ponte Morandi costruito negli anni ’60 del secolo scorso? E l’ingegnere ha delle corresponsabilità a riguardo? Molteplici sono le dinamiche, ma solo una è la risposta: considerare la storia “magistra vitae” e la memoria sua roccaforte.


La memoria nella società dispotica e al tempo delle macchine

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Illustrazione di Pep Boatella


Ray Bradbury, nel suo romanzo “Fahrenheit 451”, offre la visione di una realtà distopica in cui la società è costretta a compiere lavori, soprattutto manuali, che non richiedono alcuna conoscenza filosofico-storica. Con la rivoluzione tecnologica, infatti, l’uomo è stato soggetto alle macchine e solo la conoscenza esatta del loro funzionamento risulta di fondamentale importanza per il benessere collettivo. 

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Charlie Chaplin nel film "Tempi moderni"

   “La vita è un cosa concreta: quello che conta è il lavoro e il divertimento dopo il lavoro. Perché imparare qualcosa che non serve a premere i bottoni, a tirare le leve e ad incastrare viti e bulloni?” (R. Bradbury, Fahrenheit 451-pag. 56, parte prima).

Questa considerazione si ritrova nella definizione  dell’uni-dimensionalità dell’uomo decantata da Marcuse nel suo scritto “Uomo a una dimensione”, nel quale il filosofo accusa la società capitalistica di aver ridotto gli uomini solo alla dimensione scientifica, mettendo da parte il pensiero e la fantasia.

Dal canto suo Baddeley, invece, ritiene che esista una memoria di lavoro (o di servizio), ovvero uno spazio della coscienza entro cui possono essere presenti insieme tutti gli elementi rilevanti per l’attività che l’individuo man mano va svolgendo.

 La memoria è quindi adoperata solo nell’apprendimento di semplici e ripetitive mansioni, mentre di quella legata al passato non rimane che un alone di mistero e curiosità tale da spingere il protagonista del romanzo, Montag, a cercare la verità proprio nei manoscritti più celebri così da sopperire al vuoto coscienzioso che provava e che giorno dopo giorno diventava più pesante. I libri, e, con essi, i pensieri dei grandi autori, andavano pertanto bruciati, perché “Noi dobbiamo essere tutti uguali. Non è che uno nasca uguale, ma vien fatto uguale. […] dopo tutti sono felici, perché non ci sono montagne che ci scoraggino con la loro altezza da superare, non montagne sullo sfondo delle quali si debba misurare la nostra statura”(R.Bradbury, Fahrenheit 451). 
Siamo dinanzi ad uno dei più classici luoghi comuni: ciò che è alienante è oggetto di discriminazione; sulle minoranze (nel romanzo i colti) è gettato sempre uno sguardo avverso.

Mappa concettuale